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Cina e contraffazione

Quali conseguenze genera la contraffazione sui mercati?
  26/05/2005


I rapporti dell’OCSE e della Commissione Europea pubblicati nel 1998, riportavano che già nel 1994, in Europa venivano persi ogni anno in media 100.000 posti di lavoro a causa del fenomeno della contraffazione. Questo dato dovrebbe far riflettere, visto che da allora ad oggi la contraffazione ha registrato u continuo aumento ed è quindi assai verosimile che attualmente la perdita di occupazione si attesti sulle stesse cifre se non superiori.

Di rilevante importanza è l’impatto economico sulle aziende intestatarie dei marchi. Negli Stati Uniti, l’FBI ha stimato una perdita media che si aggira intorno ai 200-250 miliardi di dollari. In Giappone, nel 2001, 103 società intestatarie di marchi su 733 hanno registrato danni superiori a 100 milioni di dollari, un dato in netto aumento se paragonato a quello registrato nel 2000 che vedeva 77 aziende su 722 che registravano danni superiori ai 100 milioni. A questi danni vanno sommate le perdite dei governi dei paesi importatori di merci contraffatte in termini di imposte e tasse doganali . La sola città di New York ha riportato, in media, perdite annuali di 500 milioni di dollari, a causa del mancato pagamento delle imposte statali sulle vendite.

L’importanza assunta dalla Cina nell’ambito degli scambi commerciali ha posto al centro del dibattito i problemi di concorrenza leale, con disparità di condizioni, e della concorrenza sleale esercitate dal maggior colosso asiatico.
Ricordiamo che nel 1992 la Cina era la decima potenza economica mondiale, per quel che concerne le esportazioni, e il commercio complessivo cinese era pari al 2,2% del commercio mondiale. Il passaggio ad una economia aperta ha fatto sentire i maggiori effetti nel settore industriale. Nel 2002 il PIL totale è stato calcolato pari a 1.405 miliardi di dollari, mentre il PIL cinese è stato del 9.1%, si stima che nel 2004 sia arrivato al 9.5% mantenendo costanti queste performance davvero eccezionali per tutto il 2005 e il 2006. Alla fine del 2003 il totale di import-export cinese ha toccato 851 miliardi di dollari con una crescita del 37.1% rispetto il 2002. in particolare sono cresciute le importazioni con una crescita del 39.9%.

Nel 1986, quando la Cina ha chiesto formalmente di essere ammessa nell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio a.k.a. W.T.O.) le imprese dello stato contribuivano per il 62% alla produzione industriale cinese totale, mentre nel 1996 le imprese statali rappresentavano solo il 30% segno dell’evoluzione in senso privatistico della proprietà della produzione. Gli accordi siglati dalla Cina con gli Stati Uniti e l’UE, per l’adesione all’OMC, sono classificabili come win-win-deal con i quali l’OMC cresce marginalizzando il ruolo degli esclusi al processo di globalizzazione, la Cina si integra nel mercato mondiale, assumendo una maggior capacità negoziale, e USA e UE hanno la possibilità di investire in un paese con una ingente domanda inespressa di beni e servizi con margini di crescita eccezionali. Resta da capire se l’ingresso della Cina rappresenti un assoggettamento della stessa alle regole del mercato internazionale o se questa voglia influenzare le stesse regole a suo favore.


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