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Alla Posta contro l’inflazione
di Beppe Scienza.
Prodotti di risparmio agganciati ai prezzi al consumo delle famiglie di operai e impiegati.
Nati nel 2006, maturano interessi a tassi crescenti, che vengono capitalizzati ogni anno.
Piatti della cucina tradizionale rivisitati per soddisfare i nuovi gusti del pubblico. Ecco come si potrebbero definire i buoni fruttiferi, agganciati ai prezzi al consumo, emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti e collocati dalle Poste Italiane. Non si può dire che siano appena entrati nel menù di Bancoposta, ma tutto sommato sono relativamente nuovi, tanto che probabilmente molti risparmiatori non li conoscono ancora. Infatti i buoni a tasso fisso esistono da oltre ottant’anni, mentre questi hanno visto la luce solo nel febbraio 2006. Da allora viene emessa, a tagli minimi di 250 €, ogni mese una serie nuova, in genere un po’ diversa dalla precedente in funzione dei tassi di mercato del momento. Di per sé l’aggiornamento mensile non è fissato da nessuna norma, ma è una regola che finora è stata sempre seguita e probabilmente lo sarà anche in futuro. Così la serie emessa nel dicembre 2007 è la I23 e ragioneremo in particolare su di essa.
Per altro tutte le considerazioni che faremo valgono nella sostanza anche per le serie passate, nonché per
quelle future, salvo modifiche sostanziali nella politica di emissione.
Nell’ambito del risparmio postale i buoni indicizzati all’inflazione
sono un’ottima ricetta, in mezzo ad altre discutibili. Lasciamo
pure correre che alcuni uffici postali assomigliano ormai a supermercati
con scaffali colmi di giocattoli, libri, cosmetici ecc. La cosa deprecabile è la gamma degli investimenti proposti ai risparmiatori:
le Poste sono diventate un bazar che vende fondi comuni, previdenza integrativa e titoli strutturati.
Prodotti uguali a quelli delle banche e ugualmente da evitare.
Si salvano appunto i buoni fruttiferi detti ordinari, istituiti col Regio Decreto 26-12-1924 n. 2106.
Oltre che prudenziali, sono stati nei lustri passati anche un impiego molto redditizio, a dispetto della loro
brutta fama. Sono una specie di obbligazioni a cedola nulla (zero coupon bond) ante litteram, perché gli interessi, che maturano a tassi crescenti, vengono capitalizzati ogni anno.
Cioè in pratica non pagati, bensì automaticamente reinvestiti.
In più garantiscono sempre il rimborso senza oscillazioni del prezzo.
Si pensi che dal 1969 anche la Germania emette titoli simili, ovvero i Bundesschatzbriefe, ma finché ha potuto, precisamente sino a inizio 1996, li ha tenuti riservati ai tedeschi.
Il capitale dei buoni indicizzati all’inflazione si rivaluta progressivamente quanto l’inflazione.
Fruttano inoltre interessi annui che per la serie I23 sono per i primi due anni lo 0,10% annuo lordo, poi lo 0,15%, lo 0,45% e lo 0,55 rispettivamente per il secondo, terzo e quarto biennio, per salire infine all’1,25% e all’1,50% per il nono e decimo anno. Il rendimento reale a scadenza, ovvero depurato dalla perdita del potere d’acquisto, è quindi mediamente lo 0,52%. Con l’inflazione al 2,4% ciò si traduce circa in un 2,9% nominale l’anno,
sempre lordo.
Poste avare?
Di primo acchito non sono tassi allettanti, anche perché inferiori a quelli dei titoli reali del Tesoro italiano
di pari durata. Al netto di tutto, tasse e perdita di potere d’acquisto, lo 0,2% l’anno rispetto all’1,4%. Ma a fronte di tale divario di rendimento c’è la garanzia del rimborso dei buoni postali in ogni momento alla pari, comprensivo dopo 18 mesi anche di interessi e rivalutazioni accumulati.
Ciò significa per esempio che, se l’inflazione crolla, uno può riscattarli;
se invece s’impenna, uno se li terrà ben stretti. E comunque la certezza di non perdere per molti è motivo di tranquillità. Un discorso analogo si potrebbe fare per i Buoni postali ordinari che hanno rendimenti nettamente minori di quelli dei Btp, non indicizzati. In quanto poi ai pericoli d’insolvenza, è del tutto inutile chiedersi quale sia o potrebbe essere il loro rating.
Emessi dalla Cassa di Depositi e Prestiti e garantiti dallo Stato il rischio di crac è nullo.
Inflazione italiana
Ulteriore pregio di questi buoni è l’aggancio non ai prezzi europei come per i titoli del Tesoro (Btpi), bensì a quelli italiani, che sono quelli che contano per chi vive e spende in Italia.
L’unico titolo dello stato con la stessa indicizzazione sono le Infrastrutture 2,25% 2019 (codice Isin IT0003621452), purtroppo non quotate in Italia. Il problema è che le banche italiane vogliono piazzare loro titoli più scadenti e così ostacolano in ogni modo chi vuole investire in Btpi e praticano un ostruzionismo sistematico nei confronti delle Infrastrutture 2019, che sono liberamente acquistabili dai privati, contrariamente a quanto raccontano agli sportelli. Purtroppo anche alle Poste si può incappare nell’impiegato o impiegata che cerca di collocare obbligazioni o buoni indicizzati alle Borse Valori, fondi pensione ecc. Come sempre, per impiegare in modo sicuro e onestamente redditizio i propri risparmi, ci vuole soprattutto forza di carattere. Bisogna cioè non demordere e non lasciarsi rifilare merce diversa da quella desiderata.
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