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Mettiamo che qualcuno formuli la formula dell’identità tra Pil e domanda aggregata; poi stabilisca una seconda identità, quella tra la spesa e i redditi e imprecando sentenzi: “giacchè la mia spesa è il vostro reddito.”*
Ragionando della propensione al consumo degli individui scopre come la capacità di spesa si mostri inversamente proporzionale al reddito disponibile.
Vero, quel reddito generato dalla spesa remunera il lavoro messo in campo dai singoli per la generazione del valore: diverso il valore generato, diversa la retribuzione. Indipercuiposcia al mercato, dopo aver fatto la spesa, agli abbienti resta il resto, risparmiano; ai meno abbienti resta niente, spendono tutto; agli affatto abbienti manco il resto, anzi no, resta il debito.
Quel reddito non speso e quello speso troppo alterano l’equilibrio tra quanto prodotto e quanto consumato.
Per ripristinare quell’equilibrio si tenta una iperbole: il risparmio degli abbienti in banca si fa credito, debito per chi non ha, che prima mette una pezza poi fa saltare il banco.
Il tizio, giàccheccè, per quelli parsimoniosi individua pure una congiunzione astrale negativa: con il “paradosso della parsimonia” li coglie in fallo; nella fallacia di quel fare mostra come la sottrazione delle risorse di reddito alla crescita faccia tutt’uno con la riduzione dei risparmi accantonati.
Orbene, quel qualcuno, tal Keynes, spigolando qua e là fornisce fiches; ai diversamente retribuiti tocca giocarle per guadagnare “reddito di scopo” alla partita della crisi economica.
In questa crisi una domanda in difetto, contratta da redditi mal allocati e da un credito inattingibile, fa dell’offerta un eccesso, impallando il meccanismo dello scambio.
Eggià, perché quando vi è troppo da acquistare, quei redditi disallineati risultano ancor più insufficienti a smaltire e quel troppo sarà ancor di più.
Se tanto mi dà tanto verrà così svalutato il valore di quelle merci, si ridurrà ancor più la ricchezza complessiva, ancor meno reddito a disposizione degli agenti economici e quel debito, oramai inattingibile, si proporrà ancora l’ancora di salvezza di una economia squilibrata.
A meno che….si configuri un equilibrio tutto nuovo.
Fin qui la spesa ha speso redditi che retribuiscono il lavoro della produzione, non quello di consumazione; occorre acquisire quella preziosa risorsa produttiva, la propensione che fa la crescita, remunerarla abbassando che so…, il prezzo delle merci per chi ha meno. Se ad alcuni parrebbe non fondato tal remunero, si può alzare la posta mettendo in campo il costo del Tempo, dell’Attenzione, dell’Ottimismo che quei titolari della domanda più impegnano nel fare quella spesa, necessaria a generare reddito.
Un remunero aggiunto a quello smilzo reddito, per dare focillo alla spesa privata che fa i 2/3 del Pil, che sollecita la spesa per gli investimenti delle Imprese, abbevera il fisco che spinge la spesa pubblica; giustappunto il modo per impiegare al meglio le risorse produttive.
Sorbole, se con il mio esercizio di spesa integro i miei guadagni, ho di più per smaltire il prodotto, genero altro reddito, non ricorro al debito; altri avranno la s-convenienza ad un troppo parsimonioso risparmio. Tutti daranno compiuto sprone alla produttività totale dei fattori, pure quelli del consumo.
*John Maynard Keynes, The Means to Prosperity, 1933
Mauro Artibani
Per approfondire il tema trattato: PROFESSIONE CONSUMATORE
Paoletti D’Isidori Capponi Editori
Marzo 2009
www.professionalconsumer.wordpress.com
www.professioneconsumatore.org |
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