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A un anno dalla “Bersani” è cambiato ben poco per i consumatori.
L’obiettivo era una maggiore concorrenza fra i gestori, per favorire tariffe più competitive.
Ma le compagnie riescono ad interpretare le nuove norme a proprio vantaggio.
Secondo le associazioni dei consumatori, il decreto poteva essere scritto in modo più efficace.
Il 31 gennaio 2007 il ministro dello Sviluppo economico Pier Luigi Bersani emanava il famigerato decreto che da lui prese il nome, nell'intento di liberalizzare maggiormente il mercato, favorendo la concorrenza e promuovendo concrete misure di tutela dei consumatori, soprattutto nell'ambito della telefonia mobile. Il 2 aprile successivo, il decreto si convertiva nella legge n. 40.
Ma che cosa è effettivamente cambiato, da allora, per i clienti delle compagnie telefoniche?
Quali sono stati i risultati realmente apprezzabili?
Non si pagano più i costi di ricarica, certo, ma nel frattempo i gestori hanno prontamente adottato strategie di mercato più o meno corrette, nel tentativo di recuperare il mancato guadagno.
“Tra le soluzioni escogitate dai gestori per ovviare ai perduti introiti, c'è quella del telefonino in comodato – spiega Fabio Vernetti, di Federconsumatori Piemonte – Si regala un telefonino all'utente, ma si pretende la restituzione del costo del telefonino nuovo, in caso di recesso anticipato dal contratto.
Ci aspettavamo un ritocco delle tariffe, mentre in realtà grandi ritocchi non ci sono stati, salvo alcuni casi eclatanti come quello della ‘3’ o della Wind.
Il mercato si sta spostando su nuove proposte commerciali anche interessanti: molti stanno abolendo i costi di scatto alla risposta.
Ma la strategia che riporta maggior guadagno per il gestore è sicuramente quella del noleggio, del comodato d'uso, a fronte di una penale decisamente alta”.
Il decreto imponeva l'abolizione delle penali per recesso anticipato del contratto: un provvedimento
che lascia però aperta al gestore la possibilità di esigere il pagamento delle spese di chiusura del contratto stesso. L'avvocato Alessandro Mostaccio, che con il Movimento Consumatori Piemonte ha eseguito nel giugno scorso un monitoraggio su tutti i principali gestori telefonici, per verificare l'effettivo adeguamento dei contratti al decreto, ha rilevato che la maggior parte degli operatori telefonici ha continuato a richiedere penali e spese non giustificate dai costi dell'operatore: “Anche
l’Agcom, l’Autorità per la garanzia nelle comunicazioni, ha in corso un'istruttoria sul rispetto del Bersani – spiega – Le società avevano sessanta giorni di tempo dall'entrata in vigore del decreto per adeguare i propri contratti: non tutte l'hanno fatto, alcune sono in ritardo.
A questo punto si ricorre alla via giudiziale, perché sia un giudice a dire se queste penali sono dovute o meno.
Ancora oggi – aggiunge – ‘3’ continua ad emettere contratti secondo i quali il cliente che recede dovrà sborsare una somma determinata in base ai costi sostenuti dalla compagnia, come definiti da una tabella. Ci sono penali da 300, 270, 250 euro, a seconda di quanti mesi erano trascorsi dall'attivazione del contratto”.
Il costo minimo da sostenere è di 30 euro: una cifra del tutto ingiustificata, come spiega Fabio
Vernetti: “Chiudere un contratto costa dieci minuti di lavoro di un qualsiasi impiegato, spese di cancelleria praticamente non ce ne sono: già 30 euro come prezzo minimo è esorbitate.
Il problema del decreto Bersani è all'interno dello stesso decreto:
come è stato scritto, è stato interpretato dai gestori.
In alcuni casi gli operatori sono arrivati tardi con l'adeguamento, ma è la stessa scrittura che dà loro la possibilità di operare in un determinato modo.
È discutibile, o almeno meriterebbe una riflessione, la logica seguita dal legislatore nel momento in cui ha scritto il decreto”.
L'unico provvedimento chiaro ed effettivamente applicato è quello dell'abolizione dei costi aggiuntivi
delle ricariche. Ma restano problemi insoluti: «Anche se il mio credito non si esaurisce più – continua
Vernetti – è la mia scheda sim che decade, come un genere alimentare in scadenza.
Il decreto Bersani non si pronuncia al riguardo, dice soltanto che i soldi che io ho caricato sulla scheda mi devono restare.
Ma il gestore, per ragioni organizzative, riscontrando circa 70 milioni di utenze in un paese con 57 milioni di abitanti, decide di disattivare le linee che considera ‘morte’, cioè quelle che nell'arco di dodici mesi non effettuano ricariche.
Non credo che fosse questa il senso della legge, nel momento in cui è stata scritta”.
Trovate tutto l'articolo in
informaconsumatori n° 8 - marzo 2008 pag. 3
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