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Quel che segue espone quel che si deve per dare ristoro all’impegno quotidiano di vivere.
L’epopea della vita mi accarezza alle sei del mattino. Appena sveglio mi abbiglio, mi rappresento, in fretta però, quel ticchettio segnala i vestiti che nell’armadio passano di moda: merce in scadenza.
Prima, tra un sorso di caffè, le abluzioni e la colazione ho usato merci. Impiego merci per andare al lavoro: la benzina, la macchina, la radio; ascolto spot, tra il meteo ed un GR, mi danno le dritte sugli acquisti.
Poi acquisto quotidiani che mi informano, settimanali che raccontano Vip che intrallazzano, mensili che invece sollazzano la mia verve politica: qua e là tra un mare di pubblicità.
Parcheggio, pago la sosta, pure questa merce/servizio; alla posta pago bollette e abbonamenti per ciattare, telefonare, tele-visionare; canoni di acqua, luce e gas, per fare il resto.
Poi ancora lavoro, ne ha bisogno il portafoglio, per poter acquistare le merci di cui ho bisogno. A pranzo, con gli amici ingurgido merci, espongo la merce che mi veste; parliamo delle merci che voglio, che abbiamo, che vogliono.
Alle cinque stacco, snaccko. Un cacchio: a furia di snack, lunch, brunch, dinner e break mi ingozzo di fame, mangio tutto, metto grasso; acquisto fitness, lo consumo.
Prima di tornare a casa sgambetto quattro passi tra i piani terra dei palazzi di città, dove si scorgono scintillanti vetrine zeppe di tutte le merci del mondo; dappertutto consigli per gli acquisti che affollano la vista. Dritto per quella strada, guardo di lato, traccio liturgie sghembe che non incontrano sguardi, non vedono gente, fissano robe: carino quel caschemirino che strizza l’occhio; lo indico, lo tocco, lo annuso, lo acquisto.
Video mi guardano, telecamere mi vedono, sondaggi mi interrogano, chips scrutano il mio fare regalini da regalare, omaggi per omaggiare.
Giust’appunto le 6.
L’appuntamento di tutti con tutti: l’happy hour. Un manicaretto con dentro arachidi, 1 sgabello, un “come sta”, l’aperitivo, 3 sorrisi, un buongiorno o buonasera: 7 €.
Adunque a casa, anzi prima sotto casa. Al negozio prendo le solite quattro carabattole: pane, pasta, acqua, frutta, latte e sigarette. Svuoto la cassetta delle lettere che rigurgita depliant da sfogliare. Alfin entro, i soliti convenevoli: si posa la spesa, si spuntano scontrini, si rifanno i conti poi si fanno confronti, si mostrano vanti, ci si scambia malumori.
A cena si contano le aspirazioni: il mio jeans, il tuo i-pad, le nostre vacanze tra rostbeef, politica, un’occhiataccia e un goal.
Già, come resistere ai succulenti palinsesti televisivi che prolungano la nostra voglia di intrattenerci, sottraendo spazio al sonno. Posta attenzione i televisivi la prendono, la vendono ai pubblicitari che ci rimpinzano di reclame come se piovesse, dotte lezioni sul senso delle merci: buono l’intento. Intanto intendo e, attento, apprendo. Appreso, mi oriento; stanco mi arrendo, accrocco la sveglia nuova di zecca, dormo. Al mattino non mi scuote, mi culla; la stessa discrezione con cui stampa la lista degli acquisti del sabato.
Già, spesa grossa domani al centro commerciale!
La vita spesa a fare la spesa insomma: vita spesa per bisogno, emozione, passione.
Vita che si può solo acquistare.
Questa vita che fa PIL; fa i 2/3 della crescita nelle economie sviluppate: prodigo esercizio che la crisi spossa e il reddito insufficiente affossa.
Mauro Artibani
Per approfondire il tema trattato: PROFESSIONE CONSUMATORE
Paoletti D’Isidori Capponi Editori
Marzo 2009
www.professionalconsumer.splinder.com
www.professioneconsumatore.org |
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