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<  Inchieste  ~  Guadagni da capogiro per le acque minerali.

admin
Inviato: Mer Feb 13, 2008 11:22 am Rispondi citando
Site Admin Registrato: 04/12/07 09:57 Messaggi: 70 Residenza: Grugliasco (Torino)
La nuova corsa all’oro.
Italiani primi consumatori di acqua in bottiglia. Ma spesso la potabile è migliore.


Gli italiani sono i maggiori consumatori al mondo di acqua “confezionata”.
Eppure la potabile, in buona parte del Paese, può garantire una maggiore qualità.
E soprattutto non costa quasi nulla
Le condutture pubbliche disperdono in media il 42% di ciò che trasportano.
E poi ci invitano a chiudere il rubinetto quando ci laviamo i denti...




L’aria che respiriamo nelle nostre città è sempre peggiore:
polveri sottili e smog la rendono ormai irrespirabile.
Non dobbiamo preoccuparci, però, perché la Tizio&Caio SpA ha ottenuto i diritti per la commercializzazione di purissima aria direttamente dalla cima del Monte Bianco.
I vasetti saranno presto in tutti i supermercati al modico prezzo di 28 centesimi al litro. Bene, se a
qualcuno questo annuncio sembra surreale, consigliamo un’istruttiva gita nei supermercati italiani, dove fanno bella mostra di sé tanti recipienti di un altro bene fondamentale: l’acqua.

È davvero una bella cosa, l’acqua imbottigliata: economica, sicura, di facile consumo. O meglio, sarebbe una bella cosa se tutte le doti testé decantate non fossero bugie, perché non è né economica né – ahimè spesso – sicura. Senza
dubbio, però, è di facile consumo:
l’Italia è il maggiore consumatore pro capite di acqua imbottigliata del mondo. Ci piace davvero tanto.
E poi, non ha quel pessimo sapore di cloro che invece rovina l’acqua di rubinetto. Peccato che quel saporaccio sia sintomo di controlli costanti, di monitoraggio continuo, sinonimo di qualità.
Qualità che invece non è egualmente garantita dagli operatori commerciali che sfruttano le sorgenti migliori del nostro Paese per imbottigliarne il contenuto, che poi viene venduto in tutto il mondo con magari un bel marchio “made in Italy” stampato sopra.
È duro a morire il concetto dell'acqua come risorsa gratuita, fornita dalla natura in abbondanza e priva di valore economico. Stenta invece a decollare quello più razionale e attuale dell'oro blu. È tuttavia paradossale che un Paese come l’Italia, di cui l’acqua di sorgente è da sempre un vanto (basti pensare agli acquedotti romani, alle grandi fontane erette in ogni epoca, alle fontanelle tipiche delle nostre città, dai “nasoni” di Roma ai “toret” di Torino), sia poi il più fedele apostolo del PET, il polietilene tereftalato, il recipiente plastico adoperato come tabernacolo per l’ormai sempre più prezioso liquido.
Ancora più paradossale, però, è che stiamo comunque parlando di sorgenti, per quanto particolari, per quanto “di alta montagna” o “effervescenti naturali”.
Sorgente vuol dire bene naturale, e dunque pubblico. Lo Stato concede lo sfruttamento delle proprie risorse idriche a canoni e con vincoli irrisori, tanto che il guadagno per il produttore può arrivare a toccare il duemila per cento sul costo.

Tra l’altro, i controlli sanitari sull’acqua in bottiglia sono molto più blandi di quanto non siano quelli sugli acquedotti: ad esempio, la quantità massima di arsenico permessa nelle nostre tubature è di 10 microgrammi al litro; questa soglia nelle acque minerali passa a 50, senza contare la possibilità che l’involucro in plastica, ove mal conservato, rilasci sostanze tossiche.
La legislazione che disciplina il settore, infatti, è la stessa applicata per le risorse minerarie, e quindi non copre la quantità di materiale estratto, ma solo la superficie del territorio interessato dagli scavi.
Inutile far notare come questo principio appaia quasi ridicolo nel caso di un bene non solo assolutamente vitale ma che si sta affermando come strategico per il futuro – basti ricordare gli attriti fra Turchia, Siria, Giordania e Iraq per il progetto turco di una colossale diga sull’Eufrate.

“Le guerre di oggi si combattono per il petrolio, quelle di domani si combatteranno per l’acqua”, si sente ripetere spesso e da molti analisti.
Con la lungimiranza che da sempre la contraddistingue l’Italia deve aver ben pensato di vendere, o meglio
regalare a imprenditori e stranieri l’unica risorsa naturale che non le sia mai mancata nella storia.

Non basta? Perfetto. Perché non parlare allora degli sprechi folli che si verificano nel comparto produttivo e in particolar modo in quello agricolo? Perché non citare ad esempio che per un chilo di grano in Italia si consumano 2.400 litri d’acqua contro i 600 dell’Olanda?
Ovviamente la risposta della politica e del Ministero dell’Ambiente alla pubblicazione di questi dati è stata immediata ed efficace:
Italiani, ci è stato detto, chiudete il rubinetto quando vi lavate i denti.
Due terzi del consumo di acqua ha una destinazione agricola:
70% uso agricolo,
15% uso civile,
15% uso industriale.
È quindi evidente che la buona volontà degli utenti privati influisce ben poco sulle cause del problema.

Trovate tutto l'articolo in
informaconsumatori n° 7 - gennaio - febbraio 2008 pag. 10-11
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